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venerdì 18 gennaio 2008

Il vento fa il suo giro / recensione

E l'aura fai son vir

D'accordo che son distratta e non vado spesso al cinema ma è in cartellone a Milano da otto mesi e non me n'ero accorta. In Italia non ha trovato una distribuzione e gira solo grazie al passaparola.

Film parzialmente parlato in occitano, con trama che non entusiasma e fa emergere ricordi diffidentissimi (mmm, un regista della scuola di Olmi, sarà mica tipo Albero degli zoccoli?).
La scuola di Olmi in effetti c'è tutta: ma elaborata in chiave attuale, quasi del tutto priva di imbarazzante moralismo e con lo sguardo rivolto ai nostri desideri di Eden perduto ed alla qualità infima del nostro legame sociale.
La comunità locale di Chersogno, sempre più spopolata, si trova di fronte un pastore in carne ed ossa con famiglia, per giunta francese ("una volta eravamo noi ad andare in Francia, ora vengono qui"): dapprima lo accoglie -pure troppo- poi prevalgono mugugni ed indizi paranoici che si cristallizzano in ostilità aperta.
L'incontro tra Chersogno ed il suo straniero si volge dunque in una consueta vicenda di capri espiatori [1].
In modo assai paradossale, il paese si rivela capacissimo di relazionarsi con il "resto del mondo" in termini di folklore (turisti e troupe televisive alla ricerca di genuinità) ma del tutto incapace di accettare un collega dei propri avi.

Lingua d'oc a parte Chersogno è in realtà la custode di un simulacro senza più sostanza: nessuno più pratica la pastorizia, la tradizione è del tutto formale, i ricordi ormai sfumati nel mito. E un simulacro senza sostanza è un oggetto fragilissimo, utile per le vetrine televisive ma non in grado di reggere le sollecitazioni della realtà, né la minima messa in discussione. Talmente fragile da scoprirsi persino incapace di gestire, in conclusione di vicenda, anche il più semplice dei suoi "diversi interni", il tradizionale "scemo del villaggio". Una comunità che non riesce più ad essere tale.

Chersogno come evidente metafora del simulacro Italia: una società che non riesce più ad essere tale.

Poi -che sia chiaro- questo è quel che ci ho visto io. Altri sono usciti dal Mexico baciando il suolo e ringraziando gli dei per aver loro concesso di vivere a Milano anziché sui bricchi :)

Bellissimi i paesaggi innevati e le riprese aeree, e molto bella la musica. Stupefacente la recitazione di Masa, la più surrealista tra le poesie di César Vallejo (ma a quanto pare questo l'ho notato soltanto io: evvabbe', pazienza).

Per chi è solito andare in montagna cercando quel sano e corroborante contatto con i rudi valligiani: assumere con cautela.

[1] [nel senso più letterale possibile, ohimè]

Giorgio Diritti, 2005, http://www.ilventofailsuogiro.com