sabato 19 dicembre 2009

E ora la neve copre tutto

E' stato un lungo, lunghissimo autunno.

Mi è sempre piaciuto novembre, i suoi colori, le sue foglie morte, le nebbie, le malinconie. Deve trattarsi di una sorta di imprinting stagionale, suppongo, visto che sono nata sotto il segno dello Scorpione, a metà novembre. Moltissimi anni fa mi affascinavano anche quelle simbologie e corrispondenze astrologico-stagionali un po' gotiche legate al mio segno: Plutone il Trasformatore signore degli inferi e astro dei maghi e degli alchimisti, la doppia spirale dell'otto, l'idea di morte e trasmutazione presente nella semina intesa come -cito a spanne la Morpurgo- "avventura esaltante e terribile del seme che, sepolto sotto le zolle, compie il primo passo sul lungo cammino che lo porterà all'esplosione primaverile". Al tema della semina come prodromo di future resurrezioni dopo i ghiacci invernali e bla e bla e bla, ricordo, tentai una volta di interessare anche il mio storico fidanzato latino-americano, che mi ascoltò impassibile per  mezz'ora prima di sistemarmi con una sana doccia fredda di relativismo culturale ("Querida: dalle mie parti a novembre è primavera, quasi estate").



Togliendo di mezzo l'astrologia, novembre (maggio se mi leggete da Ushuaia) resta il mese della trasformazione e del passaggio. Le foglie cadute a terra si sono sovrapposte a mo' di tappeto morbido e invitante, a colori caldi, su cui cammini un po' affondando e un po' filosofeggiando su quel che accade sotto le tue scarpe: semi caduti che si interrano, disfacimento e decomposizione della materia organica, putrefazione,  benefico humus che si crea, materia che si trasforma, cicli vitali, Persefone che prima o poi ritorna ma tu no, samsara, cose così. Le nebbie rasoterra fanno il resto: quando sopra il tappeto si stende il cuscino bianco e uniforme, tu non devi fare altro che appoggiartici sopra per ritrovarti senza scosse e senza traumi dall'altra parte, un po' Alice nello specchio. Entri lievemente nella nebbia e fluisci nel tappeto, dentro l'humus, dentro il corso naturale delle cose. Morire a novembre è la faccenda più naturale, più semplice del mondo, si direbbe.



Se n'è andato alla fine di novembre, mio padre, e sino all'ultimo non ha voluto collaborare né con il grandioso allestimento stagionale che gli si dispiegava intorno né con l'armonico giro della bhavacakra. Non ne voleva proprio sapere, a dirla tutta: sarebbe rimasto volentieri qui ancora un po' o, perché no, anche per sempre. Il ciclo vita/morte è cosa bella e molto filosofica ma, sospetto, tiene pur sempre conto del solo punto di vista di chi rimane.



Se n'è andato proprio qui, al Buen Retiro, dove aveva vissuto per ottanta dei suoi novant'anni, come era suo espresso desiderio. E con sua figlia accanto. La storia di questo luogo e questa casa sono talmente intrecciate con la sua storia personale che mi son quasi stupita, il giorno dopo, di ritrovare i cedri ancora saldi sulle radici e non crollati sopra il tetto. Ci ho litigato furiosamente per tutta l'adolescenza e per molti, molti anni a seguire; è stato un grande amore, il nostro. Dire che mancherai è ben misera cosa. Buon viaggio, papà.


1919-2009