Solo il due dicembre e già da almeno dieci giorni è ricominciato il consueto delirio annuale a base di luminarie ed acquisti compulsivi. Non c'è festa come il Natale che riesca a provocare in modo prepotente la talebana anticonsumista che vive in me.
Da brava cittadina tornata da non molto in semi-campagna, la possibilità di nutrirsi di alimenti coltivati con le proprie mani o addirittura -colmo della blasfemia per una società del consumo- del tutto spontanei, mi coglie ancora come un'epifania. Beato candore. Ma d'altro canto sorprendersi, stupirsi, è pur sempre cominciare a capire, ne c'est pas? :)
Da brava cittadina tornata da non molto in semi-campagna, la possibilità di nutrirsi di alimenti coltivati con le proprie mani o addirittura -colmo della blasfemia per una società del consumo- del tutto spontanei, mi coglie ancora come un'epifania. Beato candore. Ma d'altro canto sorprendersi, stupirsi, è pur sempre cominciare a capire, ne c'est pas? :)
Così Pia Pera nel già citato imperdibile "Orto di un perdigiorno" -che prima o poi recensirò per benino:
"E' un mese che mi nutro di borragine e ortiche. [...] Questi erbi si raccolgono da gennaio ad aprile, in parte anche nella cosiddetta «seconda primavera», fra ottobre e novembre. Mi sento così astuta, ad avere tutte queste verdure a mia disposizione senza la fatica di coltivarle!" (p. 103)
"C'è un'erbacea infestante, la porcellana (Portulaca oleracea), che a me piace molto insieme ai pomodori oppure da sola, da piluccare a ciuffetti, condita con olio e limone." (p. 141)
"In Vita in campagna ho trovato un articolo dedicato agli usi culinari dei fichi d'India e dell'agave americana. Ho colto le pale [...] squisite, come fagiolini croccanti ma molto più saporiti. Una ghiottoneria." (p. 152)
Suona tutto così selvatico e primordiale, no? Così primitivo, così poco civile. Così eccentrico. Quasi pericoloso.
In effetti, tra la capacità di saper riconoscere e consumare un'erba commestibile e l'abitudine a buttar via alimenti ancora perfettamente commestibili solo in base alla data di scadenza, come nota lei, s'è aperto un abisso che sembra oramai quasi del tutto invalicabile. E valicarlo sa, curiosamente, un po' di sovversione.
Pera, Pia / L'orto di un perdigiorno : confessioni di un apprendista ortolano - Milano : Tea, 2007
3 commenti:
Mi pare che si tratti di gradi diversi dello stesso fenomeno: il saper riconoscere i prodotti naturali commestibili sta prima del saperseli coltivare, che a sua volta sta prima del comprarli nei negozi. Nel riconoscere le "erbe buone", oltre agli istinti, c'e' di mezzo un patrimonio immenso di conoscenze accumulate e tramandate nel tempo, che sono andate scomparendo da tempo, ben prima dell'arrivo delle date di scadenza. Queste sono arrivate solo a finire il lavoro, ma il distacco era gia' immenso. E si, ha un che di sovversivo recuperare quelle conoscenze.
Grazie ancora per la citazione. :)
di solito la conoscenza delle erbe di campo si riceve in dono da una donna!, nel mio caso la nonna paterna.
Come dice Pizzetti, i frutti e le "erbe" selvatiche, per noi figli della città, si possono chiamare "dono della foresta" e il loro sapore è "per i figli e i padri un pegno di contatto con la natura, interrotto, ma che è sempre possibile riprendere"
(garzantina - alla voce corniolo).
E aggiungerei, che buone che sono! saluti cat
up: l'avrei fatta anche prima, ma dovevo ancora capire come funzionavano i link :)
cat: ma guarda chi c'è :) scrivendo il post avevo tra l'altro in mente proprio te e l'altro mangiatore estivo di Hemerocallis :)
Ne riparliamo presto.
Mi manca, il Pizzetti (lui, non la Garzantina).
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